top of page

Piazza
Blog für Kul
tur und Gesellschaft

Lettera a C.


«Sai, Erica, la mia vera casa è in Italia»

C.V., 4 anni, Biel/Bienne, 2017




Biel/Bienne, 25 agosto 2024


Cara C.


Ormai hai 11 anni. Sei grande, parli tre lingue e i tuoi compagni di classe vengono da ogni parte del mondo. I tuoi genitori ti hanno mandata a scuola qui che non capivi una parola di tedesco e di Schwyzerdütsch. Non sono più tornati al paese poi.


Hanno trovato lavoro, in fabbrica. A te non manca nulla. O forse sì?

Una parte della tua famiglia si è stabilita qui in Svizzera. Frequentate la Missione Cattolica Italiana per non sentirvi soli. Vai anche alla scuola italiana, che “non si sa mai”, magari tornerete a casa un giorno, chissà. I tuoi vivono col terrore che tu dimentichi la tua lingua e le tue origini. «Dimenticheresti chi sei», dicono.


A luglio, appena finisce la scuola, la macchina è già carica, pronta per la partenza. Il viaggio è lungo e l’ultima mezz’ora è la più brutta. Hai lo stomaco sottosopra per colpa delle curve che portano su al paese. Ma appena tuo papà parcheggia la macchina in piazza passa tutto. I nonni sono già lì ad aspettarti a braccia aperte, ma così tanto aperte da riuscire a contenere, insieme al tuo piccolo essere, tutta la nostalgia per quel lunghissimo anno passato senza vederli.


Casa; l’odore del grembiule di nonna, di crocchè di riso e di dolci di cacao che ha appena fatto per te. Casa; il profumo del muschio che cresce sugli antichi muri del paese. Casa; la vicina dei nonni, sempre più vecchia e più sdentata, seduta su una seggiola di legno che ti tende la mano, ti tira a sé con forza e ti stampa un bacio sulla guancia. «Che bella che ti sei fatta! Come sei cresciuta!»


E vivi il paese.

Vivi, perché gli altri bambini vengono a chiamarti per giocare anche se non ti conoscono. Pensi che “è proprio facile fare amicizia qui”. I loro gesti, le loro parole, i loro giochi sono come sei tu.

Vivi, perché la cugina della mamma ti ha fatto cucire il vestito da fratello per la festa della Madonna: una tunica bianca con la mozzetta nera e le frange dorate. E tu vai alla processione con gli altri bambini, anche loro vestiti da fratelli. In fondo è solo una camminata per le vie del paese con tanto di banda, un sacco di gente e la statua della Madonna con in braccio Gesù bambino che viene portata in spalla dai più devoti membri della confraternita. Ma tu ti senti parte di qualcosa di importante anche se non sai cos’è.

Vivi, perché la sera dopo cena arriva quel cugino della mamma con la chitarra e ci si siede tutti in piazzetta, sui gradini della chiesa e davanti ai portoni, a cantare.


I muri di pietra sono tappezzati di annunci mortuari. Fanno parte del paese come ne fanno parte il bar Figliuzzi e il negozio di scarpe di mastro Peppino. Ma lo sai che i nipoti di mastro Peppino ormai, sono partiti tutti per l’America, e quando morirà, nessuno prenderà il suo posto. Così come se ne andranno i figli del proprietario del bar, a cercare lavoro in Germania. I muri si spoglieranno dei necrologi. Non ci sarà rimasto più nessuno a morire qui.


Sai, sei fortunata. I tuoi, con la scelta di rimanere in Svizzera ti hanno regalato un futuro pieno di possibilità. Ti hanno portata a sciare e tu adori le montagne innevate. Adori i prati verdi d’estate e la tua città, piccola ma piena di vita. E questa terra, che ti ha adottata, un giorno diventerà un pezzo di casa.


Tornerai “giù” al paese ogni anno e non ti accorgerai dei cambiamenti, lenti e inesorabili. Non ti accorgerai delle case sempre più vuote, dei muri che si sgretolano, delle serrande che si abbassano. Sarai troppo impegnata a scoprire la vita. È il bello degli anni giovani e senza lacci.


Ci porterai i tuoi figli un giorno. Li terrai per mano mentre camminerete per i vicoli impolverati e, davanti alle serrande chiuse e agli annunci delle case in vendita, racconterai loro del bar Figliuzzi e del negozio di mastro Peppino. E non potrai fare a meno di chiederti che cosa sarebbe stato se i tuoi fossero rimasti lì, se non avessero abbandonato il paese. Se fossero rimasti a lottare. Lo sai che i tuoi genitori, come tanti altri, se ne sono andati per vivere una vita migliore. Lo sai che se non sono più tornati “giù” è anche per te.

Ti chiederai, se quella terra del Sud, così dura e allo stesso tempo così viva, avrebbe fatto di te una persona diversa.


Quel giorno di sette anni fa, quando con quei tuoi occhi grandi mi dicesti che la tua vera casa è in Italia, per consolarti, ti risposi che “casa” è dove ci sono la tua mamma e il tuo papà. Mi sembrava giusto così. Ma io non ho ancora capito dov’è casa, e forse noi, nati in un posto con il cuore in un altro, non lo sapremo mai.


Con affetto

E.

Comments


bottom of page